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22 Ottobre 2015, 1:35 pm CET

Plus Ultra. Opere dalla Collezione Sandretto Re Rebaudengo di Ilaria Gianni

di Ilaria Gianni 22 Ottobre 2015
Veduta della mostra presso MACRO Testaccio, Roma 2011.
Veduta della mostra presso MACRO Testaccio, Roma 2011.
Veduta della mostra presso MACRO Testaccio, Roma 2011.

“Cos’è poi questa ‘completezza’? Un grandioso tentativo di superare l’assoluta irrazionalità della semplice presenza dell’oggetto mediante il suo inserimento in un nuovo ordine storico appositamente creato: la collezione”, affermava Walter Benjamin. “PLUS ULTRA”, la mostra a cura di Francesco Bonami che presenta una selezione delle opere più significative della Collezione Sandretto Re Rebaudengo, presso il MACRO Testaccio, è un’indagine sulla Storia e una riflessione sulla posizione dell’atto del collezionare: testimone, custode e narratore del tempo che passa. La mostra allestita nei due padiglioni del museo conduce così lo spettatore all’interno di un viaggio il cui cammino è seminato da una costellazione di singole opere che aprono alla riformulazione delle stesse in un discorso ben più ampio. I lavori raccolti da Patrizia Sandretto Re Rebaudengo accompagnano lo spettatore in un reale percorso nello stato del contemporaneo, riflettendo una presente dimensione umana: quella della critica, del raccoglimento e quella del divertissement. Nel primo padiglione ci si ritrova nei meandri di quelle zone d’ombra che declinano il meccanismo di posizionamento critico dell’essere umano in atto di resistenza. Emblematica introduzione al tragitto della mostra è il neon circolare appeso al soffitto di Cerith Wyn Evans, In Girum Imus Nocte et Consumimur Igni (1999), scritta-palindromo che dà il titolo all’ultimo film di Guy Debord, e che evidenzia il complesso labirinto in cui l’umanità continua a transitare e da cui cerca invano una via di fuga. La transitorietà e l’instabilità dell’esistenza sembrano essere la linea su cui è intessuto il dialogo tra le opere. Si parte così dalla ricerca del sé e dalla costruzione del confronto con l’altro, condizione evidente nelle opere di Pawel Althamer, Charles Ray, Aleksandra Mir, per passare all’eterno e complesso quesito sul fine o confine posto da Damien Hirst e Berlinde De Bruyckere. I lavori parlano, sono le voci di un discorso sulla nostra condizione, il cui apice giunge dal richiamo di Untitled Version (I See the Darkness) (2007) di João Onofre, in cui due bambini intonano la canzone I See a Darkness di Will Oldham, ponendo lo spettatore dinnanzi alla coscienza del presente. Una riflessione sulla maceria, sulla memoria è invece attuata da Robert Kusmirowski nella sua grande installazione UHER. C (2008): uno studio di registrazione che sembra uscito dagli anni Sessanta e trasportato intatto nella nostra era digitale. Il tempo apparentemente sospeso lancia così una sfida nei confronti delle certezze del presente, sottolineando la necessità di ricollocare la sua continua trasformazione. Hans-Peter Feldmann con 9/12 Frontpage (2001) rammenta invece il modo in cui la storia viene scritta, mostrando come le immagini siano complici della costruzione non solo di una percezione collettiva ma dello stesso giudizio. La definizione del mondo della rappresentazione e dello spettacolo è invece inconfondibile appena varcata la soglia del secondo padiglione, in cui risulta predominante una sensazione da parco di divertimenti, caratterizzato da una frastornante colonna sonora dance proveniente dall’installazione di luci di Patrick Tuttofuoco. Passeggiando tra il personaggio fiabesco dell’orso-canarino di Paola Pivi e il dipinto tridimensionale Untitled (Monster) (2009) di Piotr Uklanski, il potere dell’immaginario e dell’estetica si accosta a quello della politica, della presa di posizione. Anche l’apparente spettacolo diventa una modalità di evasione critica. Plus Ultra (2009) di Goshka Macuga, il grande arazzo sospeso a metà della sala, segna lo spazio di transizione tra i diversi modi di raccontare il presente e di tracciare la storia dell’umanità, inducendoci a oltrepassare i limiti imposti, sfidandoci oltre le nostre credenze. Quello di “PLUS ULTRA” è dunque non solo un viaggio attraverso l’atto del collezionare, ma la ridefinizione di un nuovo sistema storico, narrato e potenzialmente ancora da sviluppare. La mostra ha steso solo una prima partitura critica attraverso l’accostamento delle sue opere, dando avvio a un reale ragionamento sul modo in cui oggi ci rappresentiamo e ci posizioniamo. Gli oggetti si liberano nella nostra immaginazione, ci ripresentano continuamente noi stessi, e raccontano la storia delle nostre vite in modi altrimenti impossibili, come ci insegna Susan Pierce.

Ilaria Gianni è critica d’arte e curatrice. Vive e lavora tra Roma e Londra

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