miart 2020 / Edizione digitale di

di 14 Settembre 2020

Il 1816 è noto come “l’anno senza estate”. Fu un anno durante il quale gravi anomalie al clima estivo provocarono la distruzione dei raccolti in Europa settentrionale, America del Nord Est e Canada orientale. E, non a caso, è conosciuto anche come “l’anno della povertà”.
Ecco, questo strano, inaspettato, e drammatico 2020 sarà ricordato dal mondo dell’arte, e non solo, come “l’anno senza…”: senza mostre, senza fiere, senza biennali, senza musei, istituzioni e gallerie aperti al pubblico. Gli scorsi mesi è stata tutta una corsa allo sperimentare e sondare – con esiti più o meno felici, a seconda dei casi – le potenzialità espressive del digitale quale risorsa e alternativa alla chiusura coatta.
La premessa è d’obbligo, anche se forse banale e scontata. La fruizione virtuale – sia essa di una mostra o di una fiera – è inevitabilmente diversa rispetto alle radicate e consolidate modalità di un recente “passato”, che oggi, ormai, ci appare così lontano. In generale, per un corretto approccio bisogna, necessariamente, modificare il punto di vista e ampliare la riflessione su come si possa attuare uno scambio virtuoso e proficuo tra il reale e il virtuale, consci che la mancanza della fisicità dell’opera e della dimensione esperienziale non mediata – per non parlare di quella rete umana e relazionale che proprio di fiere, biennali e grandi mostre è il necessario humus e corollario – debba rappresentare non un limite ma, appunto, una possibilità.
Con grande coraggio miart, la fiera internazionale d’arte moderna e contemporanea, organizzata da Fiera Milano e diretta da Alessandro Rabottini, dopo la sofferta rinuncia all’apertura dell’edizione fisica (prevista in questi stessi giorni), si presenta per la prima volta nella sua veste digital, in attesa dello sperato ritorno alla “normalità” – o perlomeno all’opportunità di un connubio fisico/online – dal 9 all’11 aprile 2021, di cui raccoglie il testimone il neo nominato direttore artistico Nicola Ricciardi.
Alcuni dati: 1.872 opere, oltre 130 espositori nazionali e internazionali, una piattaforma sviluppata con Artshell – sistema leader per la gestione completa di collezioni d’arte, specializzata in software e gestionale per le esigenze del sistema artistico –, quattro aree tematiche – arte moderna, contemporanea, emergente e design da collezione – e una sezione dedicata all’editoria. Da segnalare inoltre la pagina sugli eventi – opening e mostre – previsti a Milano durante l’Art Week e nei mesi successivi.
Per andare nel concreto, la navigazione è agile, facile la ricerca per autore o galleria. Le opere in vendita sono introdotte sia attraverso uno slideshow – con l’obiettivo di mostrare i lavori in relazione a uno spazio – sia, singole, in una griglia, accompagnate da una specifica scheda tecnica.
Le gallerie hanno avuto la possibilità di arricchire la propria selezione con degli Insights, una serie di contenuti extra, multimediali, relativi ad attività espositiva, mostre più o meno recenti e artisti. Proprio questi approfondimenti avrebbero dovuto/potuto costituire il plus del progetto ma purtroppo, troppo spesso, consistono in semplici riprese di comunicati stampa o poco più. Come anche, in determinati casi, sarebbe stato utile poter zoomare sulle opere per carpirne i dettagli. Sicuramente, uno stimolo per le prossime edizioni o eventuali progetti pensati prettamente per il digital è lavorare sullo sviluppo di contenuti ad hoc che permettano di introdurre i mondi e le poetiche degli artisti esposti in maniera più puntuale.

In ultimo, ma non per importanza – poiché fondamentale strumento per arrivare al fine ultimo di ogni fiera, la vendita – una chat istantanea riservata agevola e rende immediata la comunicazione tra galleristi, collezionisti e professionisti del settore.
Nel navigare libero e talvolta randomico della piattaforma colpisce, tra le varie opere, il raffinato dialogo tra i fotogrammi di Luigi Veronesi, realizzati tra gli anni Trenta e gli Ottanta, e le sperimentazioni fotografiche, dagli anni Cinquanta ai Settanta, di Franco Grignani da 10 A.M. Art di Milano. E, ancora, da Gaep Gallery di Bucarest, il lavoro sul corpo in relazione allo spazio pubblico di Ištvan Išt Huzjan con la performance Line Umpire del 2018, nume tutelare Bertold Brecht. Da Antoine Levi, Parigi, i dipinti del 2019-20 di Amber Andrews raccontano, già a partire dai loro titoli ironici, scene di apparente quotidianità domestica, come in Hot Lemon For A Good Digestion o Cat Performer. Fanta-MLN propone la riflessione su tessuti, superfici e trasformazione di Margherita Raso – e qui viene da pensare agli studi sulla percezione aptica di Giuliana Bruno – declinata in installazioni e traslata in sculture in ceramica, bronzo e ghisa. E l’opera in bronzo Bianco Miele del 2016 di Raso è anche – insieme a quelle di Giorgio Andreotta Calò (Sprovieri, Londra), Alexandra Bircken (Herald St, Londra), Talia Chetrit (Kauffman Repetto, Milano – New York), Daniel Dewar & Grégory Gicquel (Clearing, New York – Bruxelles), Mimosa Echard (Martina Simeti, Milano), Anna Franceschini (Vistamare | Vistamarestudio, Pescara / Milano) e Corita Kent (Andrew Kreps, New York) – tra le otto selezionate per il Fondo di acquisizione di Fondazione Fiera Milano, dimostrazione di un attento, costante e concreto supporto al mercato dell’arte.
Un buon esempio di come l’introduzione delle singole opere sia ben sostenuta dagli approfondimenti è quello di Office Baroque con un focus sui dipinti del 2019-20 di Rezi van Lankveld, sospesi in una costante tensione tra figurazione e astrazione, e accompagnati da testi e rimandi a interviste all’artista.
Curiosi la pittura di Chechu Álava della sudafricana SMAC Gallery, i “soft heroes” di Thomas Liu Le Lann da VIN Vin Gallery di Vienna e i collage digitali di Anastasia Pavlou da Hot Wheels Athens. Con piacere si incontrano poi maestri riconosciuti, o se ne scoprono e riscoprono di nuovi, quali Corrado Levi da Ribot Gallery di Milano, Etel Adnan da Galerie Lelong & C. di Parigi, Umberto Bignardi alla Galleria Bianconi di Milano, e talvolta inaspettati, come Alfonso Leoni da EraStudio Art Gallery di Milano.
Ma c’è un lavoro che perfettamente sintetizza lo Zeitgeist e le sue contraddizioni: Public Access (2011-14) di David Horvitz, da ChertLüdde, Berlino, una ironica riflessione su tempo, proprietà e condivisione del sapere, strettamente aderente al contesto di una viewing room online. Questi autoritratti anonimi, all’apparenza casuali, inizialmente caricati dall’artista su Wikipedia, una volta intercettati dagli editor della libera enciclopedia, sono stati però subito rimossi e, di conseguenza, Horvitz è stato bandito dal sito web. È la seconda occasione, dopo Art Basel a inizio 2020, che sono presentati online.

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Damiano Gullì