I CV sono nati per definire chi siamo e come ci presentiamo; una sorta di esposizione estesa delle nostre credenziali: nato a, studiato a, lavorato per, frequentato questa scuola…, interessi speciali e hobby. Anche l’arte si adegua con l’integrazione di categorie: mostre, articoli, esposizioni… Questo Curriculum Vitae non si preoccupa tanto dei dati fattuali quanto di quelli non fattuali, non detti e privati. Una lunga lista di domande private, improbabili e senza vergogna ai protagonisti del mondo dell’arte e della creatività. Domande secche come la vita per risposte brevi come la vita.
Luca Lo Pinto risponde alle domande di Cristiano Seganfreddo.

CS: Qual è stato il primo poster nella tua stanza?
LLP: La locandina di Unforgiven.
CS: Ricordi il tuo primo sguardo a un’opera d’arte?
LLP: Il primo no, però ricordo lo stupore da bambino nel vedere come uno stesso artista potesse dipingere quadri di alberi e poii geometrie colorate. Era una mostra di Mondrian.
CS: Da bambino, cosa volevi diventare?
LLP: Architetto. Mi piaceva giocare con i lego ma quando ho capito che dovevo studiare la matematica ho perso l’entusiasmo.
CS: Hai mai scritto una lettera a un artista?
LLP: Tante volte.
CS: Il tuo museo dell’infanzia com’era?
LLP: Un enorme perimetro di mattoni di lego colorati con dentro una serie di piccoli oggetti.
CS: Cosa c’è sul tuo comodino?
LLP: Una lampada, del balsamo di tigre e un supereroe dell’ovetto kinder.
CS: Qual è il primo libro?
LLP: Quello che mi ha più segnato è il Diario di Andy Warhol scritto dalla sua segretaria.
CS: La tua prima playlist per un vernissage?
LLP: La musica ai vernissage di solito è orrenda. Quando avevo dodici anni avevo fatto delle playlist da vendere nei negozi affinché ci fosse della bella musica piuttosto che le canzoni commerciali della radio.
CS: Chi è stato il tuo primo maestro senza che tu lo sapessi?
LLP: Forse mio bisnonno.
CS: Dove hai pianto per la prima volta da adulto?
LLP: Non piango spesso. Se lo faccio, avviene in solitudine e per le giuste occasioni.
CS: Ti sei mai innamorato di un’artista?
LLP: Vivo per gli innamoramenti. Sono poligamo, come ogni curatore.
CS: Quale canzone ti rappresenta meglio come curatore?
LLP: Lee Scratch Perry – The Upsetter.
CS: Un odore che associ a una tua mostra?
LLP: Per l’ultima mostra che ho fatto alla Kunsthalle Wien, avevo chiesto a Sissel Toolas di ricreare l’odore di Vienna nel 1992.
CS: Qual è il colore che ritorna sempre nella tua vita?
LLP: Il verde.
CS: Quanto c’è di tuo padre o di tua madre nel tuo modo di lavorare?
LLP: Tanto.
CS: Hai mai pensato di essere troppo gentile per questo sistema?
LLP: Gentile no, forse troppo onesto.
CS: Cosa ti salva, quando tutto crolla?
LLP: La fede nell’arte.
CS: Hai mai portato un artista a casa tua?
LLP: Spesso.
CS: In quale città ti senti più frainteso?
LLP: Dove manca la libertà individuale.
CS: Qual è il tuo disordine creativo preferito?
LLP: Per molti anni scrivevo con la televisione accesa, la musica e la radio. Per fortuna non ho più la televisione da anni.
CS: Hai un rituale?
LLP: Filmare le nutrie lungo il fiume quando vado a fare canottaggio.
CS: Cosa ti ha insegnato la solitudine nei musei vuoti?
LLP: Ad immaginare a come riempirli.
CS: Cosa ti muove di più: la rabbia o la meraviglia?
LLP: Lo stupore.
CS: Hai mai cambiato idea completamente su un artista?
LLP: Sì.
CS: Il gesto più folle, tuo?
LLP: Andare a Los Angeles per due giorni a festeggiare il compleanno di Simone Forti.
CS: Hai mai scritto un testo solo per te, senza pubblicarlo?
LLP: Sì.
CS: Che rapporto hai con l’errore?
LLP: Lo accolgo a braccia aperte.
CS: La parola più difficile da pronunciare nella tua vita?
LLP: Fine.
CS: Quando hai capito che l’arte era casa tua?
LLP: Da quando sono nato.
CS: Cosa ti manca delle prime volte?
LLP: Ricerco le epifanie e quando non ci sono più provo a ricrearle.
CS: Qual è il luogo più intimo che hai trasformato in mostra?
LLP: Il cielo.
CS: La cosa più commovente che un artista ti ha detto?
LLP: Sapere di aver conquistato un posto speciale nel cuore e della vita di una persona grazie ad una mostra.
CS: Cosa ti fa ridere davvero?
LLP: La scena di Hot Shots! Part Deux quando Charlie Sheen incrocia il padre.
CS: A cosa non rinunceresti mai, anche se ti pagassero molto?
LLP: È banale, ma alla mia libertà.
CS: Qual è il tuo tempo preferito per vedere arte: mattina, pomeriggio o notte?
LLP: Di notte ma non è facile purtroppo.
CS: In quale mostra hai sentito di esserti raccontato di più?
LLP: “Time is Thirsty” e “Post Scriptum-Un Museo dimenticato a memoria”.
CS: Quando un’opera ti ha fatto sentire stupido?
LLP: Quando capita, è reciproco.
CS: Qual è il tuo rapporto con il vuoto?
LLP: Sto sempre sull’orlo di un precipizio. Lo guardo dall’alto con desiderio e paura.
CS: Hai mai cancellato tutto, poco prima?
LLP: Sì. Una volta ho quasi rifatto una mostra da zero dopo averla allestita.
CS: Qual è la forma geometrica che ti rappresenta di più?
LLP: Il cerchio.
CS: Hai mai sognato di chiudere tutto e aprire un bar con fanzine e dischi?
LLP: Solo chiudere tutto.
CS: Cosa ti spaventa di più oggi?
LLP: L’ignoranza.
CS: Hai mai fatto una mostra per amore?
LLP: Tutte.
CS: L’arte può salvare una relazione?
LLP: Spesso le distrugge.
CS: Hai mai avuto un’esperienza mistica con un’opera d’arte?
LLP: Sol LeWitt diceva che gli artisti concettuali fossero mistici piuttosto che razionali.
CS: Cos’è per te il sacro, fuori dalla religione?
LLP: La Roma.
CS: Quale artista per te tocca il mistero?
LLP: Quelli bravi.
CS: In che momento la curatela si avvicina a un rito?
LLP: La curatela deve essere atea.
CS: Ti diverti ancora nelle inaugurazioni?
LLP: Non mi sono mai divertito.
CS: Quanto deve essere politica una mostra?
LLP: Prima di tutto deve essere poetica.
CS: Cosa ti infastidisce della “correttezza culturale”?
LLP: Tutto.
CS: In quale gesto curatoriale hai messo più dissenso?
LLP: Quando ho allestito una mostra con opere reali in uno spazio, l’ho fatta fotografare in scala 1:1 ed ho esposto solo l’immagine stampata lunga quasi cinque metri su una parete.
CS: Ti consideri un curatore militante?
LLP: Nell’amore per l’arte sono un ultras.
CS: Hai mai censurato qualcosa?
LLP: No
CS: A quale movimento politico ti senti affine, oggi?
LLP: Movimento per l’immaginazione preventiva.
CS: Com’è la tua casa?
LLP: Luminosa, cementine a terra, soffitti color senape e azzurro cielo con tanti libri, opere d’arte e vestiti.
CS: Qual è l’oggetto più inutile ma insostituibile che possiedi?
LLP: Un orologio-timer a forma di bocca che parla.
CS: Hai opere d’arte appese?
LLP: Tante.
CS: Cosa si capisce di te entrando in salotto?
LLP: Un’estetica precisa animata da un caos associativo.
CS: Dove scrivi meglio: a casa o altrove?
LLP: In treno e in aereo.
CS: Che rapporto hai con i vestiti?
LLP: Mi piacciono. Posso diventare ossessivo.
CS: Che ruolo ha la moda nei tuoi progetti?
LLP: Indirettamente ha influenzato diversi progetti che ho realizzato.
CS: I tuoi designer preferiti di sempre?
LLP: Bless.
CS: Se potessi indossare solo un brand per un anno?
LLP: Helmut Lang.
CS: Quale stilista ti ha fatto capire qualcosa su di te?
LLP: Martin Margiela.
CS: Un abito che ti ha cambiato il corpo?
LLP: Le ultime sperimentazioni di Maurizio Altieri.
CS: Il tuo fashion guilty pleasure?
LLP: La calzamaglia.
Non è un’intervista. Non è un profilo.
È un autoritratto sparso, in forma di domande.
Un modo per perdersi dentro le persone, nei loro gesti, nei loro oggetti, nelle loro ossessioni.
Una mappa del visibile e dell’invisibile.
Un curriculum emotivo, estetico, personale pensato da Cristiano Seganfreddo.
In ordine libero, come il pensiero.