C’era una volta, molti anni fa, un’intera generazione di operatori culturali in lotta per costruire una nazione. Con sangue e fatica riuscirono dopo diverso tempo a far sì che quell’assolata penisola dai lati oscuri e dalle tradizioni variegate divenisse un unico stato in grado di difendere, proteggere e formare i propri cittadini. C’era una volta una giovane nazione che per oltre un secolo ha tentato di autodistruggersi inventandosi dittatori, collaborazionisti, forze segrete e tiepide parvenze di democrazia. E c’era una volta una mostra, “Viva l’Italia”, che in qualche modo ha provato a porsi l’eterno dilemma di che cosa stia capitando a quella nazione così giovane, così ingenua e così devastata dai suoi stessi abitanti. Non una manifestazione, non un’ipotesi di rivoluzione postmoderna, bensì un progetto espositivo dal vago sapore museale realizzato con il tentativo di porsi delle domande e di ipotizzare nuovi discorsi su cosa stia accadendo in Italia e all’Italia. Per fare questo ci si è serviti di uno spazio importante come quello della Galleria Astuni, di una sequela di artisti come Luciano Fabro, Maurizio Cattelan, Marcello Maloberti, Cesare Pietroiusti, Sislej Xhafa, Leonardo Pivi, Gianni Motti, Gian Marco Montesano, Rossella Biscotti, Costa Vece, Nemanja Cvijanovic, Daniel Knorr, L’epimeteide, e di un’abile e intelligente curatore quale è Fabio Cavallucci e di un nuovo organo di stampa, travestito da catalogo, con il quale riflettere su un presente storico che sempre più ci accumuna. Il risultato è una totale immersione in opere oramai storicizzate, come la riflessione sugli anni di piombo di Maurizio Cattelan (Senza titolo [Natale ’95]), Italia all’asta (1994) di Luciano Fabro, rappresentante l’immagine geografica del nostro stivale così come eravamo abituati a vederlo a scuola, il noto video di Sislej Xhafa in cui una ragazza magrebina intona l’inno di Mameli (Jamilla, 2001) o il video della celebre performance di Cesare Pietroiusti, realizzata presso la Galleria d’Arte Contemporanea di Castel San Pietro Terme, in cui l’artista canta e ricanta fino allo spasimo Giovinezza e Vinceremo (Pensiero unico, 2003). Nel ripercorrere vecchi ricordi divenuti quasi immaginario collettivo, non si può fare a meno di rimanere tristemente sconsolati nel vedere come la realtà artistica straniera trasfiguri gli stereotipi italiani in parte veri, in parte “gonfiati” dai mass media: mi riferisco a Stolen History di Daniel Knorr o al “ripensamento” sull’arte italiana di Nemanja Cvijanovic; per poi passare alla tradizione italiana del mosaico, da tempo rivitalizzato da Leonardo Pivi che in questa occasione mostra la copertina di Rolling Stone sul V-Day bolognese di Beppe Grillo, o al tradizionale chiosco per granita trasformato da Marcello Maloberti in un’esperienza sinestetica dai lontani sapori futuristi, in cui il ghiaccio si tinge dei colori della nostra bandiera. Dentro lo spazio espositivo, “Viva l’Italia” appare come un’ottima occasione di sperimentare ciò che gli operatori culturali realizzano anche per “scuotere” i fruitori; fuori dalla galleria, tutto ciò si perde nella triste conferma che le domande poste non trovano risposta. O forse non è così: forse la realtà attuale offre delle risposte, ma non sono quelle che vorremmo..
16 Maggio 2017, 3:46 pm CET
Viva l’Italia di Fabiola Naldi
di Fabiola Naldi 16 Maggio 2017Galleria Enrico Astuni, Bologna
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