Curriculum Vitae – Mariuccia Casadio di

di 11 Giugno 2025

I CV sono nati per definire chi siamo e come ci presentiamo; una sorta di esposizione estesa delle nostre credenziali: nato a, studiato a, lavorato per, frequentato questa scuola…, interessi speciali e hobby. Anche l’arte si adegua con l’integrazione di categorie: mostre, articoli, esposizioni… Questo Curriculum Vitae non si preoccupa tanto dei dati fattuali quanto di quelli non fattuali, non detti e privati. Una lunga lista di domande private, improbabili e senza vergogna ai protagonisti del mondo dell’arte e della creatività. Domande secche come la vita per risposte brevi come la vita.

Mariuccia Casadio risponde alle domande di Cristiano Seganfreddo.

CS: Il tuo piatto della memoria?
MC: I ravioli di ricotta e spinaci conditi con burro e parmigiano di mia madre.

CS: Hai mai desiderato essere un’opera d’arte?
MC: Certo! L’opera è qualcosa che fai con le tue mani, la tua mente, le tue passioni. L’ho tanto desiderato che forse un po’ ci sono riuscita. #iosonoilmiomedium

CS: Qual è il dettaglio di stile che ti fa impazzire?
MC: Accavallare le gambe con una magnifica gonna a pieghe.

CS: Hai mai avuto una visione?
MC: Una tigre viva in miniatura che attraversava il letto dei miei genitori. Ho cercato di ritrovarla per molti mesi, ma non è più successo.

CS: Qual è il tuo gioiello rituale, quello che non togli mai?
MC: L’orologio.

CS: Se fossi un tessuto, quale saresti?
MC: Il fresco di lana, la lana secca, merino, stupenda.

CS: Qual è il gesto artistico che ti ha cambiato il corpo?
MC: Il desiderio di estenderlo, di ridefinirne i confini.

CS: Hai mai pianto davanti a un’opera d’arte?
MC: Preferisco ridere che piangere davanti a un’opera d’arte. Mi piace sentirmi toccata, provocata, coinvolta, ma anche respinta.

CS: Qual è la tua stagione artistica interiore?
MC: Sempre quella che deve ancora arrivare.

CS: Cosa ti commuove anche se non vuoi?
MC: La bellezza quando la riconosco. E oggi mi commuove sempre di più. È rara.

CS: Qual è il tuo profumo, e quale artista potrebbe indossarlo?
MC: Rovescierei la risposta: non amo i profumi ma proverei volentieri un profumo d’artista finché resisto, anche se non mi piace.

CS: Il tuo primo ricordo estetico nitido?
MC: Ricordo tutto quello che non mi piaceva già a due o tre anni. I bottoni, i dettagli del corpo femminile, le lunghe mani, le gambe slanciate, le caviglie sottili.

CS: Ti capita di parlare con i quadri?
MC: Certo, parlo ai quadri con il pensiero.

CS: Con quale stilista ti senti davvero affine, poeticamente?
MC: Charles James, Rei Kawakubo, Galliano, McQueen, Margiela… dopo Balenciaga, hanno trasformato l’abito in uno statement.

CS: Il tuo libro-talismano? E uno che non sei mai riuscita a finire?
MC: Off the Wall di Calvin Tomkins. Non ho finito L’Uomo senza qualità di Musil, ma lo trovo geniale.

CS: Se potessi far curare una mostra sulla tua vita, da chi la faresti curare?
MC: Dal mio ologramma.

CS: Ti capita mai di parlare con te stessa ad alta voce? E in quale lingua?
MC: Spesso. Quando vivevo a New York, in inglese. A volte ancora oggi.

CS: Ti sei mai sentita parte di un’opera?
MC: Sempre. Quando scrivo, quando parlo, quando poso.

CS: Qual è il film che ti ha insegnato l’eleganza?
MC: Le notti di Cabiria, 2001: A Space Odyssey, Poor Things. Eleganza è anche errore, difetto, orrore.

CS: Ti ricordi l’odore del tuo primo atelier di moda?
MC: L’odore del talento e delle idee mescolato a quello dei materiali. McQueen e Galliano.

CS: Quanto ti vesti per il mondo e quanto per te?
MC: Un equilibrio tra travestimento e rassicurazione personale.

CS: Mini cavalli: proiezione, tenerezza, potere. Cosa sono per te?
MC: La mia idea di eleganza, bellezza, grandezza. Bellissimi anche se piccoli.

CS: Qual è la cosa che ti fa restare a lungo davanti a un’opera?
MC: Il mistero, la miseria, l’avventura. Non dev’essere paracula.

CS: Hai mai visto qualcosa di talmente bello da restare in silenzio per ore?
MC: La vita.

CS: L’artista che secondo te ha raccontato meglio la sensualità?
MC: Pierre Klossowski. Svelato e velato.

CS: A chi manderesti il tuo messaggio in bottiglia?
MC: Al Babbo Natale degli abissi.

CS: Il tuo rapporto con la casa: la vivi, la curi o la costruisci come un set mentale?
MC: Un’opera, tagliata su misura. Un abito di architettura.

CS: Qual è il tuo segno zodiacale? E ci credi davvero?
MC: Acquario. Proiettato nel futuro. Mi piace l’idea di corrispondergli.

CS: L’abito che ti rappresenta come un autoritratto?
MC: Un organzino blu di Comme des Garçons. Amo il blu e il démodé.

CS: Il tuo suono-feticcio?
MC: La no wave. Abrasiva, improvvisata.

CS: Cosa pensi del concetto di “musa”?
MC: È una responsabilità. Un modus vivendi.

CS: C’è un artista che senti fratello o sorella, anche senza esservi mai parlati?
MC: No. Sarebbe mal riposto il mio concetto di fratellanza.

CS: Moda e arte: due linguaggi o un unico istinto?
MC: Due linguaggi. Credere il contrario è un errore.

CS: Se dovessi scegliere un solo artista con cui cenare, chi sarebbe?
MC: Francesco Vezzoli. Sempre.

CS: Cosa cerchi davvero nell’arte?
MC: Una bellezza affine. Un conforto ideale.

CS: Hai mai scritto un testo pensando a un abito?
MC: Sempre. Sono una sarta della parola.

CS: Cosa ti commuove nel design, se ti commuove?
MC: La funzione rinnovata. Il legame tra creatività e impresa. L’Italia del progetto.

CS: Cosa pensi quando osservi un’opera che ti guarda?
MC: Che preferirei mi ignorasse.

CS: L’ultima volta che l’arte ti ha fatto ridere?
MC: Ogni supercazzola dei Canemorto.

CS: Qual è la tua ossessione visiva più lunga?
MC: La trama: tela, tessuto, maglia.

CS: Hai mai avuto paura che l’arte smettesse di emozionarti?
MC: Spessissimo. Ogni due per tre.

CS: Quando sei sola, cosa fai che non diresti a nessuno?
MC: Non lo dico a nessuno.

CS: Hai mai perso qualcosa di importante per amore dell’arte?
MC: Forse no. L’arte mi ha arricchita. Forse troppo.

CS: Qual è l’opera che ti abita, anche se non la possiedi?
MC: Deve contenermi tutta. Sol LeWitt, Bruce Nauman, Barbara Kruger…

CS: Il tuo capo più amato, e quello che hai perso per sempre?
MC: Ora: una gonna a pieghe grigia di Prada. Persa: una di Rei Kawakubo, consumata dal tempo.

CS: Che musica ascoltavi quando scrivevi di arte per la prima volta?
MC: Mai musica. Silenzio assoluto.

CS: Il tuo drink preferito?
MC: Vino bianco secco e ghiacciato.

CS: Hai mai avuto l’impressione che un quadro ti stesse aspettando?
MC: Sì. Di solito è piccolo. E lo porto a casa.

CS: La città in cui ti senti più vera?
MC: Bologna. Dove sono nata.

CS: Preferisci i musei vuoti o le case piene?
MC: Case piene, sempre. Anche se non hanno molto senso

 

 

Non è un’intervista. Non è un profilo.
È un autoritratto sparso, in forma di domande.
Un modo per perdersi dentro le persone, nei loro gesti, nei loro oggetti, nelle loro ossessioni.
Una mappa del visibile e dell’invisibile.
Un curriculum emotivo, estetico, personale pensato da Cristiano Seganfreddo.
In ordine libero, come il pensiero.

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